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282 parte sesta

il meglio, o madre, è ch’io mi viva, e brami,
per far la pena eterna ed infinita,
d’eternar con gli affanni anco la vita;
onde, finch’io da te lunge rimanga,
quanto viva t’amai, morta ti pianga.
     Ma tu, ch’or vivi e godi, anima cara,
sovra l’immobil cerchio in Cielo assisa,
sciolta del grave tuo limo terreno,
ove schiera d’Amori ardente e chiara
nel vivo Sol degli angeli s’affisa,
ch’eterno opra lassú giorno sereno;
mentre contempli ognor beata a pieno
la gran Mente del mondo, e i miei martíri
ne lo specchio infallibile rimiri,
deh! se la pace tua celeste e santa
non turba e ’l tuo gioir cura mortale,
pon’ mente ove ’l tuo frale
avara tomba, avara terra ammanta;
come tre volte e quattro, il marmo intorno
e lustrando e baciando, i’ chiamo a nome
la nobil ombra de l’amato spirto;
come di calta e casia e lauro e mirto,
come di rose e di viole, e come
funestamente, di mia man l’adorno.
Gradisci dal felice alto soggiorno
l’opra pietosa e ’l folto nembo e largo,
ove, assai piú che fior, pianto ti spargo.
     Taci, taci, canzon: cedan gl’inchiostri
freddi a le calde lagrime, che fòra
versa l’acuto duol che ’l cor mi punge;
e, poich’al gran dolor lo stil non giunge,
il suo morir del tuo silenzio onora.
Ma con vena maggior dagli occhi nostri,
perché pari a l’amor doglia si mostri,
ciò che esprimer non può la mano in carte,
sia con lingua di pianto espresso in parte.