Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
i
in morte di sua madre
Torno piangendo a riverir quel sasso,
ove chi nove lune in sen mi chiuse,
chiuse lasciò le ’ncenerite spoglie.
Pace a te prego, a te dolente e lasso
m’inchino, o madre, e con l’afflitte muse
l’essequie tue rinovo e le mie doglie.
Benedette le lagrime, che scioglie
a voi devute il cor, ceneri amate,
venerande reliquie, ossa onorate,
di quella ond’io son parto e parte sono
queste misere carni. Oh, se m’intendi,
madre cortese, prendi
pianto per latte, e sia l’ultimo dono!
Ma chi mi vieta, oimè! ch’a te m’appressi?
Dura pietra e crudel, ma non men dura
l’iniqua dea, l’insidiosa arciera,
la cieca sorda inessorabil fèra,
che t’ha serrata in gelid’urna oscura;
e vòlse pur ch’io di mia man chiudessi
la bocca, onde sí dolci, onde sí spessi
per mia salute ebb’io parole e baci:
or da silenzio eterno oppressa giaci.
Madre, tu giaci? è dunque ver che, tinto
d’atro pallor, de le tue luci il lume
eternamente agli occhi miei s’ammorza?
Piansi, non è gran tempo, il padre estinto;
or, perché doppio strazio il cor consume,