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264 | parte quinta |
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pel dono che gli fece del suo ritratto.
L’imagin tua, che ’n dono or mi concede,
Claudio, affetto cortese, è quella istessa
che nel centro del core io porto impressa
e che de’ miei pensieri in cima siede.
E ben fa di quel volto aperta fede,
ch’è di vera virtú sembianza espressa;
ma la vivacitá non scorgo in essa,
che nel tuo ingegno e nel tuo stil si vede.
Quel ch’empie il mondo terminar non vale
breve confin, né pareggiar saprei
a l’eterno diamante il vetro frale.
Raggi in te sol vegg’io, sol ombre in lei:
ella non spira spirito vitale,
tu dell’anima mia l’anima sei.
xxx
sul proprio ritratto
di mano di Bartolomeo Schidoni.
Togli il rigor del gelo e de l’arsura,
e l’orror de la notte ombrosa e bruna
e ’l pallor de la morte insieme aduna;
fanne, se far si può, strania mistura;
prendi quant’ha la regione oscura
pene e tenebre eterne ad una ad una,
quant’ha d’amaro Amor, di reo Fortuna,
d’imperfetto e di misero Natura;
scegli il tòsco de l’idre, accogli poi
de le sirti le spume, e tempra e trita
con sospiri e con pianti i color tuoi.
Cosí, Schidon, verace e non mentita
farai l’imagin mia. Ma, se tu vuoi
farla viva parer, non le dar vita.