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le pitture e le sculture 263

     Di Pindo e di Permesso,
vago di poetar, le cime ascesi,
misero! ed a compor non altro appresi
ch’un duro groppo ed a formar con esso
tragedia di me stesso.
     Tentai farmi eminente,
e in altro monte, ove di rado uom sale,
e in altra pianta, ove volai senz’ale,
restai, canuto il pel, cigno dolente,
spettacolo pendente.
     Forza d’empio destino,
ma piú d’invidia rea, mi fece in morte
fiero trofeo di miserabil sorte;
ond’ebbi a divenir, vecchio meschino,
martire di Pasquino.
     Tema i sovrani eroi
ed apprenda da me, pur troppo audace,
i grandi a reverir lingua mordace;
se non vuole il carnefice far poi
ballare ai versi suoi!


xxviii

il castelficardo

celebre predicatore.

     Dipingimi il sembiante,
Castel, del gran Castello,
tu ch’a gloria sovrana alzi il pennello.
Fa’ di cener la veste,
cener ch’asconde in sé foco celeste;
fa’ che ruvida corda il fianco cinga,
corda il cui santo groppo a Dio lo stringa;
dá’ grazia al volto e gravitate a l’atto.
Tanto basti al ritratto:
piú non tentar, se pur non sei bastante
a dipingere il fulmine tonante.