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260 | parte quinta |
xxi
Per frenar, per fiaccar l’orgoglio insano
de la Mosa e del Ren, d’oro e di genti,
quanti Iberia mandò duci possenti
contro il Belga sacrilego e profano?
Austria, con pace tua, tentâro invano
Stunica ed Alba, a l’alta impresa intenti,
piegar con armi o bellici tormenti
quell’indomito collo al giogo Ispano.
Vinselo il gran Farnese e con trofeo,
cui né Cesar né Druso ottenne eguale,
trionfò de lo stuol perfido e reo.
Ciò fu destín, però che palma tale
altrui non si devea, ma sol poteo
a romano campione esser fatale.
xxii
Sotto il pietoso mio zelo paterno
fiorir giustizia e caritá si scorse;
sepolta l’eresia giacque in Averno,
con la virtú la veritá risorse.
Un lustro, o Roma, sol del mio governo
pace, abondanza e libertá ti porse.
Quando capí, dal secolo di Piero,
tanta felicitá sí breve impero?
xxiii
Gran cronista di Dio,
mentre che scrissi i suoi terreni annali,
fui negli annali eterni ascritto anch’io;