Nato in un punto istesso ed infelice,
va lagrimando le miserie estreme,
che l’umana natura gli predice;
e ne’ vagiti suoi sospira e geme
la lunga serie de’ futuri affanni,
che con tal tronco han la radice insieme.
Che gravi incarchi ne’ piú debil’anni,
mentre vaneggia e pargoleggia infante,
a mille rischi esposto, a mille danni!
Tenero sovra il suolo e vacillante
stampa dubbie vestigia, e non ben pote
senza le braccia altrui fermar le piante.
Le membra avinte e d’ogni forza ha vòte,
e de’ vasi materni il cibo chiede
con lingua balba e mal distinte note.
Cresciuto il senno e stabilito il piede,
in piú perfetta etá, di quanti mali
fatto gioco e bersaglio ognor si vede?
Ecco, con duri e velenosi strali
incominciando a saettarlo Amore,
gli fa piaghe pestifere e mortali.
Vien rabbia, gelosia, speme e timore
con l’altre oscure passion nemiche,
anzi furie tiranniche del core.
Succedono i disagi e le fatiche,
degli ingordi desir l’avide brame,
che, quanto acquistan piú, piú son mendíche:
de l’òr la sete e de l’onor la fame,
de’ sozzi morbi la perpetua guerra,
e del giogo servil l’aspro legame.
Chi può dir poi gl’incommodi che serra
de la pigra vecchiezza il peso greve,
che giá mira il sepolcro e pende a terra?
De’ dolci dí la primavera è breve,
tornan freddi gli spirti, i corpi lassi;
dove spuntava il fior, fiocca la neve.