tenebre luminose, occhi divini,
dal brillar de’ cui giri
ne l’Indo orientale
qualunque gemma piú pregiata e chiara
a scintillare impara;
vostre brune pupille
sembran carboni spenti,
ma vostri vaghi sguardi son faville
vigorose e cocenti.
Quel notturno colore
scolora l’alba e move invidia al giorno;
quel vostro smalto oscuro
al zaffiro fa scorno, ingiuria a l’oro;
quel brun, quel negro vostro
è puro e vivo inchiostro,
onde con l’aureo strale
scrive Amor la sentenza
de la mia dolce e fortunata morte.
Cari etiopi, adusti
da’ raggi di quel Sol che ’n voi fiammeggia,
anzi etiopi e Soli
che confondete in un tenebre e luce;
corvi destri e felici,
non giá nunzi di male,
ma messi di salute e di conforto,
che nel digiun de l’amorose fami
mi recate quel cibo
che può sol ristorar l’anima mia;
o luci dispietate,
dispietate e cortesi,
chiarissime fontane onde sí dolce
scaturisce il mio foco;
contener non mi so, mentr’io vi parlo,
che non accosti a ber l’avido labro.
Consentite, vi prego,
se l’alma m’involaste,