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idilli mitologici 231

Sventurato! ch’a pena
di quel fatal umor spruzzato e molle,
tosto m’abbandonò l’umana forma.
Stendasi il collo e de le guance il tratto
in mascelle s’allunga; il naso e ’l mento
si nasconde e si spiana,
e la bocca viril s’aguzza in muso.
De le gambe robuste
s’assottiglian le polpe; i duo sostegni
del corpo si fan quattro,
ed ha ciascun di lor l’unghia divisa.
Cresce su per le membra,
giá candide, or di nero
pomellate e di punti
variate e distinte, irsuto pelo.
Veggiomi pullulando
spuntar su la cervice
i germogli de l’ossa; indi repente,
arboreggiando al ciel, selva di corna
farmi con cento rami ombra a la fronte.
Insolita paura
entrar mi sento ad abitar nel petto.
Giá, sgridato e cacciato
da le sdegnose ninfe,
timido fuggo, e ’n ciascun passo adombro:
e, pur fuggendo, meco
di me mi meraviglio
e di mia leggerezza; e tanto solo
di me stesso mi resta,
che, col primiero aspetto,
non ho punto perduto
de l’antico intelletto.