su l’ali assisi, i venti
tenean sospeso il respirar del fiato.
L’aurette vaneggianti,
stupide spettatrici, aveano imposto
alto silenzio a le sonore fronde.
L’acque mute, non altro,
in suo rauco idioma,
con lingua di cristallo
mormoravano, solo
che la dea piú pudica,
confessando a la selva i suoi secreti,
di se stessa facea mostra lasciva.
Girò l’occhio fatale e ’l guardo obliquo
una naiade, in questo, a l’arrogante,
troppo cupido amante, e sí s’accòrse
de l’insidia e del tratto; onde, gridando,
a la casta reina
accusò con la voce,
additò con la mano
del forsennato errante
l’immodestia e l’insania. Ed ecco, tutto
di man battute e di percossi petti
fan le ninfe sonar l’ombroso speco.
Qual, per celar se stessa e di natura
i secreti tesori,
dentro il fonte s’immerge e fa de l’acque,
poco fide custodi,
un traslucido velo al seno ignudo;
qual de la dea pudica
corre a la guardia, indi le tesse intorno
con le braccia intrecciate alcun riparo.
Ella, come s’inostra
adusto nuvoletto a sole estivo,
o qual a noi si mostra
in oriente la vermiglia aurora,
o come si colora