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228 parte quarta

qual suol quando la luna
lo suo splendor sereno
vibra nel mar tranquillo,
o quando il Sol saetta
con lucido baleno
specchio di bel diamante,
portava agli occhi miei raggi di neve,
ch’abbarbagliando di lontan la vista,
mi ferivano il core.
Né con tanto piacer né cosí belle
nel tribunal selvaggio
colá del fòro d’Ida il pastor frigio
mirò del ciel le litiganti ignude,
come attonito e lieto
del boschereccio nume
l’immacolate parti
a specolar svelatamente er’io.
I tronchi istessi, i tronchi,
rapiti a vagheggiarla, ebber, cred’io,
senso di meraviglia e di diletto;
ché, s’orecchie ebber giá platani e faggi
per ascoltar d’Orfeo la dolce voce,
chi potrá dir che non avesser occhi
per mirar di Diana i membri ignudi?
Questi del bosco innamorati figli,
fatti gelosi a prova,
con le braccia frondose,
escludendo da l’antro il chiaro lume
de la lampa diurna,
la vista a me concessa
proibivano al Sol, che pur volea
con curioso raggio
di cotanta bellezza
spiar furtivo gli ultimi recessi.
Tacea la selva, intenta
al celeste miracolo amoroso;