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idilli mitologici 227

dal piacer giovanile e da la vista
de l’offerte bellezze, oltre mi misi,
e de la pura immacolata dea
il sacro corpo tutto
di parte in parte a misurar mi diedi.
Adombrava il bel loco
fra l’altre arbori eccelse annoso olivo,
tra’ cui sacrati rami,
baldanzoso ed audace,
furtivamente a contemplarla ascesi;
lá dove, tutto intento
a l’oggetto amoroso, non sapea
da sí dolce spettacolo levarmi.
Cosí con doppio fallo il fallo accrebbi,
però che, per veder ciò che non lice
d’una vergine dea,
d’altra vergine dea gravai la pianta.
Ma giuro, e giuro il vero
(sasselo, madre, il cielo!)
ch’io non pensai né volli
a l’altrui castitate
far con lo sguardo ingiurioso offesa:
a l’alte meraviglie
de la nova beltate
vaghezza simplicissima mi trasse.
Se colpa è risguardar le cose belle,
colpevole mi chiamo!
     Eran da la chiarezza
de l’onde trasparenti
innargentate l’ombre, e da la luce
de le candide membra
imbiancati gli orrori; onde parea
spuntar ne l’antro oscuro
a mezza notte l’alba: e, lampeggiando
con sferze oblique e tremuli reflessi
per lungo tratto il vago lume intorno,