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226 parte quarta

per gran sorte giuns’io, che, poco dianzi,
da le reti partito e da le lasse,
lasciati avea nel bosco
i cani a riposar. Riposo, ahi troppo
per me duro e crudele,
perché potesser poi con maggior lena
seguitarmi e sbranarmi!
     Era tra’ verdi rami,
in guisa pur di padiglione o tenda,
spiegata intorno e tesa
di sciamito vermiglio ampia cortina,
tal ch’a spiar per entro
a pena aver potea passaggio l’aura.
Avean le ninfe sovra l’orlo erboso
del chiaro fonte acconcia
di rose e d’altri fior purpurea cuccia,
e ’n disparte apprestati,
per rasciugarsi poi,
di zendado e di bisso
sottilissimi veli.
     Mentre in loco sí chiuso e sí remoto
le belle natatrici
senza sospetto alcun stanno a diletto,
misero quanto incauto,
quivi a caso m’abbatto e quivi arresto
le faticose piante;
né piú curai di seguitar la caccia,
perché non mi parea con l’arco in mano
poter mai far di quella,
che con gli occhi facea, preda piú bella.
Anzi, per pascer meglio,
vagheggiatore ingordo,
de l’occhio insaziabile la fame,
infra le fronde e ’l drappo
fattomi piú da presso,
innebriato e tratto