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idilli mitologici 221

Ah taci, stolta, ah taci!
sostien’ la voce incauta!
Ah! vuoi tu forse ancora
dopo ’l tauro feroce
provar d’amor acceso
l’infuriato vento?
Ma tu, Giove, che miri
dal sommo de le stelle
il miserabil caso,
ché non porgi soccorso
al mio grave periglio? —
     Questi ed altri lamenti
gittava invan l’addolorata; ed era
presente al tutto Amor, che i dolci pianti
sorridendo asciugava. Allor, baciando,
lusingando e leccando
con la lingua il bel piè candido e scalzo,
con umane parole
le rispose il suo vago: — Indarno temi,
verginella mal saggia,
per mia cagione o precipizio o danno.
Frena, frena i singulti,
pon’ giú lo sdegno e ’l duolo,
tranquilla il core e rasserena il ciglio,
impara a sostener tanta fortuna!
Quel che premi è il gran Giove, e tu nol pensi:
quel Giove, che dal cielo
chiami in aita, è teco.
Sotto questa mentita e falsa imago
Giove son io, che posso
apparir ciò che voglio.
La bellissima Creta,
mia famosa nutrice,
di ben cento cittá ricca e possente,
pronuba degna a sí bramate nozze
vo’ che ’n braccio t’accolga: ivi sarai