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212 parte quarta

il cui fosco però rischiara e fregia
argentata cometa;
oscuro ha l’occhio e ’l ciglio,
ma lieto in vista e baldanzoso il guardo;
magro il piè, breve l’unghia,
ma largo il fianco e spazioso il collo;
nere sí ma lucenti,
qual di Cinzia non piena
soglion le corna a punto,
due ossa eguali ed egualmente aguzze
fan curve in picciol arco
onorato diadema al nobil capo;
dal mento in giú gli scende
infino a mezza gamba la giogaia,
la cui tremula pelle
il ginocchio in andando offende e sferza.
     Che non puoi? che non fai,
sagittario fanciullo? Ecco, quel grande,
che regnò tra le stelle, erra tra’ buoi.
La man, che dianzi il folgore sostenne,
stampa or l’orme ferine, e quella testa,
ch’ebbe in ciel la corona, or tien le corna.
     Viensene al pasco a passo tardo e lento,
fatto giovenco, Giove;
né porta a le donzelle
col suo venir spavento, anzi, spirando
da’ celesti suoi fiati aura divina,
degl’intrecciati fiori
l’odor vince e confonde. A piè d’Europa
piega l’alta cervice, il tergo abbassa,
e par che quasi, de’ begli occhi fatto
idolatra, l’adori.
     Da le lusinghe insidiose intanto
la vergine delusa,
con gran festa l’accoglie; il collo e ’l dorso
soave al maneggiar tocca scherzando;