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idilli mitologici 205

ridente in vista e con sembiante allegro
le s’avicina e le s’asside a lato;
poi, pian pian ragionando a l’infelice,
benignamente la conforta e dice:
     A che ti lagni, o bella,
di quel crudel, di quel villan d’Atene?
     Dunque, ancor ti soviene
di Teseo, quando Bacco hai giá marito?
     fia piú da te gradito,
dunque, un mortal, ch’un immortale amante,
     in cui bellezze tante,
in cui regnan virtú tante e sí nòve?
     Tosto dirai ch’a Giove
l’umil tuo genitor non si pareggia,
     e che del ciel la reggia
troppo è miglior de la tua patria, Creta.
     Destin d’alto pianeta
qui non a caso il mio navilio scorse:
     Amore, Amor fu forse
che mosse i remi miei, le vele sciolse,
     perché pietoso vòlse
serbarti ad altre nozze, ad altro letto.
     Qual onor, qual diletto
bramar giá mai tu stessa unqua sapresti?
     Negli alberghi celesti
socero avrai Saturno e me consorte:
     a la tua lieta sorte
invidia porterá piú d’una dea;
     né di Cassiopea,
né d’Andromeda il lume al tuo fia eguale.
     Di tanta luce e tale
circondar ti prometto il tuo crin biondo,
     che stupefatto il mondo
t’ammirerá vie piú d’ogni altra stella.