giá baciata l’avrebbe.
Pur, talora appressando
a quei soavi aneliti la bocca,
la bacia e non la tocca;
e ’n voce piana e con parlar sommesso
mormora questi accenti infra se stesso:
Silenzio, o fauni,
tacete, o ninfe;
non percotete
il suol col piede,
il ciel col grido;
né piú col suono
de’ cavi bronzi
interrompete
l’alta quiete
di questa dea.
Férmati, o mare,
cessate, o venti;
non sia chi svegli
Venere bella,
che qui riposa.
Venere è certo
costei ch’io veggio
dormir sul lido.
Ma dov’è il cesto
di cui si cinge?
No, no, piú tosto
fia Pasitea,
ch’oggi si sposa,
credo, col Sonno.
Ma chi mai vide
Grazia vestita,
se sempre tutte
van senza spoglie?
La Luna è forse,
che, come amica