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idilli mitologici 181

volger dal corso lor l’onda e le stelle,
che può fermar il Sol, non che una tigre.
Tigre, sí nel voler come nel corso,
ché non ti fermi, oimè, ché non t’arresti1
ne lo specchio del cor vivo e lucente,
ov’è stampata la tua bella imago?
Giá brama il predator d’esser tua preda:
ché non t’arresti omai, ché non ti fermi?
Se tigre sei, perché paventi e fuggi,
lungi da me, qual timidetta damma?
Or qual timor ti vince? or chi giá mai
fèra feroce fuggitiva scorse?
Non fuggir, non temer, ché ben può, lasso!
far contra ogni furor, contr’ogni forza
sol la tua feritá difesa e schermo.
Sol de’ begli occhi armata e sol d’un guardo,
sei possente a ferir qual cor piú franco,
poic’hai sí forte un dio ferito e vinto!
     Ove ten fuggi e m’abbandoni, o ninfa?
O ninfa troppo bella e troppo alpestra,
Pan, il tuo Pan, cui solo Arcadia adora,
te sola adora: ahi semplicetta, ahi folle!
e tu pur nol conosci, e tu nol miri;
o, se ’l miri e ’l conosci, e tu non l’ami,
anzi l’odii e disdegni. O troppo cruda,
cruda, cruda Siringa, arresta alquanto,
arresta il piede, il fuggitivo piede;
vergine vaga, aspetta, ascolta, attendi!
Deh! non fuggir almen tanto veloce,
ché men veloce seguirotti anch’io,
o tenerella mia, che non offenda
duro sasso il piè molle, o che nol punga
sterpo crudel; crudel, férmati un poco,
aspetta almen, ch’io piú non seguo, ascolta;

  1. Sembra che qui manchi qualche verso. Si veda nota bibliografica [Ed.].