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180 parte quarta

né schivar del mio corpo aspro e selvaggio,
fra le nevi del sen morbide e bianche,
stringer l’aduste carni, abbracciar l’irco,
baciar le labra e far vezzi a le guance,
benché d’ispidi velli irsute e folte;
ch’è tale, nel baciar, dolce diletto,
che di tanta dolcezza avida poi
tu stessa ognor dirai: — Baciami in bocca; —
e tanto io son piú duro e piú robusto,
tanto i baci fien piú teneri e dolci.
Questi miei nervi poderosi e forti,
queste di questa mia ruvida pelle
rigide sete, assai maggior daranno
diletto a te, che i delicati e molli
d’altro vil amator vaghi sembianti.
Potraile anco veder, quando tu ’l chieggia,
ricche d’auro e di gemme, e ricche e sparse
d’ardenti stelle e di celesti fregi.
Son lo dio de’ pastori e degli armenti
e de le greggi e de le lane, e donno
di queste selve e di questi antri; e questa
aurata verga e queste corna d’auro
ti dánno a diveder la signoria
c’ho sovra ogni animal, ch’alberghi bosco.
Fuggirai dunque un dio, rozza fanciulla?
Ma fuggirmi che pro, se nel mio petto,
viva e bella qual sei, ti serbo impressa?
Ahi, che, ’n fuggendo me, te stessa fuggi;
ma da me stesso il tuo partir mi parte!
Ferma, Siringa mia, deh! ferma il piede;
ferma, cangia pensier, rivolgi i passi;
ritorna indietro, eh, mia Siringa, torna;
eh, ninfa bella, eh, mio bel sole, eh ferma
il piè veloce, eh ferma, eh posa, e volgi,
volgi gli occhi, crudel, volgi le piante!
Odi, ingrata, il mio duol, ch’avrá possanza