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idilli mitologici 177

che dolce in me sfavilla,
pèra tra l’acque e cada:
sostien’ ch’a trovar vada,
vòlto al mio ben, per via piana e tranquilla,
da la tua stella scorto,
nel suo grembo, il mio porto.
     E voi, siate ancor voi,
minacciose procelle,
sol di tanto cortesi al pregar mio:
se fia ch’il mar m’ingoi,
se ’n queste rive o ’n quelle,
rotto da dura cote esser degg’io,
al mio giusto desio
non si contenda almeno
che i membri afflitti e lassi
a ristorar men passi
pria tra le dolci braccia e ’l caro seno;
poi, nel ritorno, allora
poco mi cal ch’io mora.
     Né solo in sí rea sorte
men duro e piú soave
fia tra gl’impeti vostri il mio morire,
ma fia degna la morte
e giusta, ancorché grave,
de le sciocchezze mie pena e martíre.
Perché chi può gioire
di quel piacer sovrano,
di quel ben che m’alletta,
di quel ben che m’aspetta,
e poi lasciarlo, e poi girne lontano,
dopo la sua partita
piú star non deve in vita. —
     Qual piú rigido scoglio
intenerito avrebbe
il flebil suon de le pietose voci.
Ma non però l’orgoglio
placossi, anzi piú crebbe

G. B. Marino, Poesie varie. 12