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idilli mitologici 175


24


     — Ah che ben ti vegg’io, ti veggio, ahi lasso,
coppia impudica, e piú mirar non voglio
ne’ tuoi piacer furtivi il mio cordoglio,
ove ch’io volga sconsolato il passo! —
     Con questo grido una gran rupe al basso
spinse il fèro ciclope, ebro d’orgoglio,
e ’n aventar lo smisurato scoglio
parve la voce tuon, fulmine il sasso.
     Sasso crudel, ch’al bel garzon tremante
nel piú dolce morir la vita tolse,
ne la felicitá misero amante!
     Pianse la bella ninfa, e ’nvan si dolse,
e gli occhi appo l’amato almo sembiante,
che giá sciolto era in acqua, in acqua sciolse.


ii

la trasformazione di dafne

     Stanca, anelante a la paterna riva,
qual suol cervetta affaticata in caccia,
correa piangendo e con smarrita faccia
la vergine ritrosa e fuggitiva.
     E giá l’acceso dio, che la seguiva,
giunta omai del suo corso avea la traccia,
quando fermar le piante, alzar le braccia
ratto la vide, in quel ch’ella fuggiva.
     Vede il bel piè radice, e vede (ahi fato!)
che rozza scorza i vaghi membri asconde,
e l’ombra verdeggiar del crine aurato.
     Allor l’abbraccia e bacia, e, de le bionde
chiome fregio novel, dal tronco amato
almen, se ’l frutto no, coglie le fronde.