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172 | parte quarta |
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— In quell’ombrosa e solitaria balza,
cui l’onda, o Polifemo, abbraccia e fiede,
lá ’ve l’alpestre Lilibeo si vede,
ch’oltre le nubi la gran fronte inalza;
seder vidi pur dianzi, ignuda e scalza,
la bella tua, ch’ogni altra bella eccede,
e reverente il mar baciarle il piede,
il mar, ch’ancor di gioia al ciel ne sbalza.
Parca, rotando de’ begli occhi i giri,
una stella, anzi un Sol, qualor ridente
de l’oceán la chioma umida tragge. —
Cosí disse un pastor, quando il dolente
mosse a cercarla, e fece a’ suoi sospiri,
vie piú ch’Etna cocenti, arder le piagge.
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Lá fra l’onde, ove scherza, ove s’immerge
d’ignude ninfe amorosetto coro,
il bel viso, d’Amor pompa e tesoro,
Galatea la fugace or tuffa or erge.
Poscia, in sul lido assisa, ove disperge
Borea il flutto che ’l piè lava a Peloro,
il rugiadoso avorio e l’umid’oro
del bel sen, del bel crin s’asciuga e terge.
Intanto il gran pastor, cui pendon cento
canne dal fianco e splende un occhio in fronte,
move da l’aspro scoglio aspro concento.
— Deh! perché, cruda — a lei dice rivolto, —
co’ pianti e co’ sospir ch’io spargo al vento
lavarti, lasso! ed asciugar m’è tolto? —