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168 parte quarta


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     — In qual antro, in qual lido, in qual confine
glauco del nostro mar quell’erba cresce,
ch’uom cangia in mostro, e sue sembianze mesce
di spume e conche, e muta in alga il crine?
     Forse l’umane forme in peregrine
qual tu, ratto, traslate, e vòlto in pesce,
fia che l’ardor, che nel mio cor s’accresce,
trovi fra l’acque o refrigerio o fine.
     Fors’ancor fia, che la mia ninfa almeno
pur lieto appressi, e per le vie profonde
or le baci il bel piede, or tocchi il seno. —
     In queste voci appo l’amiche sponde
sciôr Polifemo a’ suoi dolori il freno
udîr l’aure, l’arene, i sassi e l’onde.

11


     Vòlto ai lucenti e liquidi cristalli,
de la sua Galatea nido e soggiorno,
di queste note Polifemo un giorno,
s’udí, cantando, fulminar le valli:
     — Belle ninfe del mar, che di coralli,
di perle e d’oro il molle crine adorno,
sovra frenati pesci ite d’intorno,
lieti menando e leggiadretti balli;
     curvi delfini, musiche sirene,
verdi scogli, antri foschi, orridi venti,
fier’orche, ingorde foche, aspre balene;
     fate fede a costei de le mie pene,
e come a’ miei sospir, pianti e lamenti
sona il ciel, crescon l’acque, ardon l’arene! —