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idilli mitologici 165


4


     — In grembo al chiaro Alfeo vidi pur ora
l’imagin mia nel verde ombroso chiostro,
ed a se stesso ha il suo splendor dimostro
il vivo Sol, che la mia fronte onora.
     E, se non mi dipinge e non m’infiora
rosa e giglio la guancia, avorio ed ostro,
giá non son io però fèra né mostro,
o de le notti mie novella aurora!
     Pur, qual da sole oscura nube e vile,
da te rozza sembianza e boschereccia
prender può qualitá bella e gentile. —
     Cosí con aspra e rustica corteccia,
pettinandosi il crin presso l’ovile,
parla il ciclope, e poi di fior lo ’ntreccia.

5


     Lá dove i poggi al gran martel di Bronte
tuonano e tuona il mar profondo e largo,
cosí tonò da l’arenoso margo
un pastor di statura emulo al monte:
     — Una luce, i’ nol nego, ho sola in fronte,
e ben esser vorrei di luci un Argo,
per poter con le lagrime, ch’io spargo,
aprir cento canali a sí gran fonte.
     E pur con un sol occhio il tutto mira
il biondo dio, che ’l quarto ciel governa
e con l’aurato carro il mondo aggira.
     Ma, ch’abbia mille lumi ond’io discerna,
qual pro, s’anco quest’uno hai tanto in ira,
che chiuso il brami in una notte eterna? —