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142 parte terza

quantunque immortal sia
il mio pianto e ’l mio male,
che da la tua beltá sol si deriva.
Son quelle che possiedi,
fuggitive bellezze,
fuggitive dolcezze;
e tu, che sol per lor sí altèra vai,
mostri pur, come indegna,
dispensandole mal, curarle poco.
Quella rosa, che vedi
spiegar colá sí baldanzosa e lieta,
di porpore vestita,
ridendo a l’aura, l’odorato cespo,
diman vedrai, tosto che ’l Sol la tocchi,
chiuder le foglie ed abbassar la testa,
pallida e scolorita.
Questa terra fiorita,
che, verdeggiando a la stagion novella,
or si mostra sí bella,
non prima il primo gelo
verrá a fioccar dal cielo,
che con arida faccia e chioma irsuta
fia rugosa e canuta.
Beltá vaga, etá fresca,
non è ch’un’ombra lieve,
non è ch’un lampo breve:
a pena appar che si dilegua e passa.
Vola il tempo, amor vola,
fugge l’oro dal crin, dagli occhi il foco,
fuggon dal viso i fiori,
e fugge il fior degli anni.
Or tu, ritrosa quanto bella, e stolta
non men che cruda, e cruda
a te piú ch’ad altrui,
perché fuggi da me, s’ei da te fugge?
Verrá, verrá quell’ora