le lingue, che pungenti
saettavano altrui rabbioso tòsco,
son saette soavi, ond’Amor vibra
dolcezza a l’un de’ duo spesso mortale.
Ecco la vite a l’olmo,
ecco l’edera a l’orno abbarbicata.
E tu, cruda ed ingrata,
perché di viver pur sempre t’ingegni
solinga e scompagnata?
Pon’ mente ivi a quel pruno:
fu giá sterile un tempo, inutil pianta,
da’ cui ruvidi rami
nascer frutto solea pontico e vile;
or, per virtú d’un nodo e d’un innesto,
fatta è dolce d’amara,
di selvaggia gentile.
E te come non vale,
con sua forza immortale,
far di rustica ed aspra, Amor possente,
domestica e feconda?
Cosa insomma non è, tra quanti oggetti
questo sí spazioso
teatro universal ti rappresenta,
dove in ogni stagione Amor non regni;
ma vie piú in questa assai,
quando l’erbette e i fiori
torna con Clori a riaprire aprile.
Queste selve vicine,
quest’antri, queste valli e questi monti,
quest’acque e queste fonti
si distillano amando,
discorron mormorando
di quel foco gentil, che ’l tutto incende.
Sospiran con le fronde
l’aure vaghe, e con l’onde.
Piangon l’onde lascive