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idilli pastorali 125


     Scherza co’ fauni e tutto il dí contrasta
co’ cani istessi e ’nfin col bue tenzona,
e col cozzo e col corno atterra e guasta
le viti a Bacco e gli arbori a Pomona:
a le lascivie sue l’ovil non basta,
né punto a capre o pecore perdona,
né molto appaga il cupido appetito
di cento mogli il giorno esser marito.
 
     Quel sará tuo, se ’l chiedi, e voglio ch’anco
il favorito toro mio ti prenda.
Pur or di fior l’ho coronato, e ’l fianco
cerchiato intorno di vermiglia benda.
Tutto tutto è pezzato a nero e bianco,
di beltá senza pari e senza emenda;
cui non fôran fors’anco avare e schife
d’amar Europa e d’abbracciar Pasife.

     Principe no, tiranno è de l’armento,
indomito campion, duca orgoglioso.
È diletto il mirarlo, ed è spavento,
qualor la sua giovenca il fa geloso.
Co’ piè l’arena e con le corna il vento
fiede, e ne l’ire sue non ha riposo:
scote del capo la falcata luna
e, sbarrando le nari, i lumi imbruna.
 
     Io l’appello per vezzo «il bel giostrante»,
sí ne’ selvaggi assalti è bravo e forte,
mentre, feroce ed arrabbiato amante,
il robusto rival disfida a morte.
De la fronte superba e minacciante
va ne’ tronchi a forbir l’ossa ritorte:
freme, e folgori aventa e fiamme sbuffa,
e, la testa abbassando, esce a la zuffa.