Felicissimo, o Clori, il tuo Montano,
che per te tutti in gioia i giorni spende;
Montan che, tra’ pastor pastor sovrano,
dal gran dio de le selve origin prende.
Ma che? Gonfisi pur di fumo vano,
vanti i titoli illustri ond’ei risplende:
ricco assai piú di me d’abiti alteri,
e di latte e di lana e di poderi.
Non son questi i tesori e non è questa
vera gloria de l’uomo e vera dote;
ricco chiamarsi, perché d’òr si vesta,
se virtú non l’adorna, altri non pote.
Or non sai tu ch’egli ha le corna in testa,
come figlio di satiro e nipote?
se ben l’insegna infame e contrafatta
sotto la chioma a bello studio apiatta.
Bench’io pastor non sia tanto sublime,
pur negletto il mio stato esser non deve.
Ho tante agnelle anch’io, che fan le cime
biancheggiar di Vesuvio a par di neve,
feconde sí, che de le mamme opime
portan quasi a fatica il peso greve:
due volte il dí le premo e sempre il seno
han di novello nettare ripieno.
Barbuto, il capro mio pregiato e bello,
che può far al celeste invidia e scorno,
quel tutto brun, c’ha lungo e crespo il vello,
ed ha sí dritto e sí pungente il corno;
vedi, vedilo lá presso il ruscello,
d’edra la fronte e di vitalba adorno,
che, come de la greggia e capo e scorta,
argentina squilletta al collo porta.