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idilli pastorali 121


     Lungo il bel rio, che con piè torto corre
e fende i campi ed attraversa i cespi,
potrai sedendo il biondo crin disciôrre,
sí che liev’aura l’agiti e rincrespi,
e ’n varie guise poi l’ordin comporre
degli aurei nodi innanellati e crespi,
e, mentre i gigli da le rose io sceglio,
farti de l’acqua in un lavacro e speglio.
 
     Di rami il fonte un padiglion si tesse,
ch’è lavor di natura e sembra d’arte,
dove nasconderan le fronde spesse
i nostri furti in solitaria parte;
e ben poría, senza che ’l sol potesse
scorgerla mai, secura in grembo a Marte
ignuda anco giacervi Citerea,
e ’n braccio al vago suo la casta dea.
 
     Oh io, s’averrá mai che, quivi assiso,
nel sen de l’idol mio lieto m’accolga,
e non solo a mia voglia in quel bel viso
fermo le luci a contemplar rivolga,
ma ’l caro bacio e ’l desiato riso
da la bocca crudel rapisca e còlga,
come n’andrò, dopo sí lunghi pianti,
nel ciel d’Amor tra’ piú beati amanti!

     Vedrai del monte, al tuo celeste sguardo,
farsi lieto e seren l’orrido e ’l fosco;
vedrai fiorir lo steril loglio e ’l cardo
d’aneto e casia e lasciar gli angui il tòsco;
ed amomo ed amella e mirra e nardo
sudar le piante, e stillar manna il bosco;
oro tornar l’arena, il fiume argento,
ed odori spirar d’Arabia il vento.