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idilli pastorali 119


     Fresca rosa odorata al novo aprile
anco ti porsi e t’accennai talvolta:
— Donami in cambio d’un amor gentile
quella ancor tu, c’hai ne le labra accolta.
Beltá donnesca e grazia giovenile
invan bramata e ’n sua stagion non còlta,
soggiace a punto ad un medesmo caso:
se ride in sul mattin, langue a l’occaso. —

     E certo questo fior, che qui tra noi
«bellezza» ha nome e tanto agli occhi piace,
gloria è breve e caduca, e i pregi suoi
vien tosto a depredar l’etá fugace.
Ah! non inganni i vaghi lumi tuoi
del fonte adulator l’ombra fallace:
l’ombra, che spesso ammiri e, lusinghiera,
gir ti fa tanto di te stessa altera.
 
     Tu da me fuggi, e ’l tempo in un momento
vie piú lieve di te fuggir vedrai.
Vedrò coprirsi di canuto argento
quella chioma, che l’òr vince d’assai.
Vedrassi il foco de’ begli occhi spento
e lo splendor de’ luminosi rai;
de le labra gelar l’aure amorose,
e delle guance impallidir le rose.
 
     Allor del ciglio in un balen sparita
la luce e del bel volto e del bel crine,
la gente additerá, sí come addita
di giá distrutta mole alte ruine.
E tu, ma tardi, de l’error pentita,
piangendo indarno e sospirando alfine,
dirai, d’ira e di doglia il cor percosso:
— Potei, non volli: or che vorrei, non posso. —