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idilli pastorali 115


     E da che poi de le fredd’ombre sue
spande la notte il velo umido ed atro,
finché ’l bifolco al mansueto bue
ripone il giogo e ricompon l’aratro,
il Sol membrando de le luci tue,
per questo verde e florido teatro,
senza mai riposar, pur come uom folle,
disperato men vo di colle in colle.

     O ch’io vegghi o ch’io dorma o vada o seggia,
ho sempre in mente il caro oggetto impresso.
Te segue il mio pensier, per te vaneggia,
e sol per cercar te perdo me stesso.
Sola per le campagne erra la greggia,
e sola al chiuso suo ritorna spesso,
senza il dolente e misero custode,
ch’ama chi l’odia e prega chi non l’ode.

     Povera greggia, il cui doglioso stato
il tuo cuore a pietá punto non piega,
se ben con mesto e querulo belato
notte e giorno per me ti chiama e prega!
Pascer non vuol piú fiori in altro prato,
se i fior del tuo bel volto il ciel le nega;
fuorché lo sguardo tuo caro e soave,
contro il fascino e ’l tuon schermo non have.
 
     Mira colá ne le vicine rupi
Ciaffo e Zampone, i duo mastin feroci,
che, veggendo qual cura il cor m’occúpi,
latrano al bosco con pietose voci;
e, ben ch’avezzi a guerreggiar co’ lupi,
sien piú d’ogni altro can pronti e veloci,
dapoi che ’l signor lor s’affligge e piagne,
mal ponno senza lui difender l’agne.