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112 parte terza

     Onde, poiché il meschin soletto errante
portò lung’ora intorno il fianco lasso,
a la folt’ombra de le verdi piante
ritenne alfine addolorato il passo.
Sovra un sasso posossi e nel sembiante,
non men che ’l seggio suo, parea di sasso;
poscia al monte vicin gli occhi converse,
ed ai chiusi pensier la strada aperse.
 
     — Clori bella — dicea, — ma quanto bella
tanto fiera e crudel, tanto superba,
or che ridono i prati e la novella
giovinetta stagion fiorir fa l’erba,
or ch’ogni fèra in questa piaggia e ’n quella
deposta ha l’ira e ’n sé rigor non serba,
perché contro i lamenti, ond’io mi doglio,
tu sola il duro petto armi d’orgoglio?

     Deh! volgi a me da que’ felici colli
dove l’aria a’ tuoi raggi è piú serena,
volgi deh! gli occhi, e i miei vedrai, che molli
versan d’amaro pianto eterna vena.
Sai ben ch’altro giá mai non chiesi o volli
refrigerio o conforto a tanta pena,
che da que’ dolci lumi, ond’io tutt’ardo,
men crudo almen, se non pietoso, un guardo.

     Ahi! che mi val che ’l ciel l’orrore e l’ombra
spogli, il bosco verdeggi e l’aura spiri,
se dal tuo core il ghiaccio Amor non sgombra?
se del tuo volto il sole a me non giri?
se fra nebbia di duol sempre m’ingombra
pioggia di pianto e vento di sospiri?
s’al verno de’ tuoi sdegni il fiore e ’l verde
de le speranze mie si secca e perde?