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104 | parte seconda |
lviii
al sonno
O del Silenzio figlio e de la Notte,
padre di vaghe imaginate forme,
Sonno gentil, per le cui tacit’orme
son l’alme al ciel d’Amor spesso condotte,
or che ’n grembo a le lievi ombre interrotte
ogni cor, fuor che ’l mio, riposa e dorme,
l’Erebo oscuro, al mio pensier conforme,
lascia, ti prego, e le cimerie grotte.
E vien’ col dolce tuo tranquillo oblio
e col bel volto, in ch’io mirar m’appago,
a consolare il vedovo desio.
Che, se ’n te la sembianza, onde son vago,
non m’è dato goder, godrò pur io
de la morte, che bramo, almen l’imago.
lix
il sogno
Vien la mia donna in su la notte ombrosa,
qual suole a punto il mio pensier formarla,
e qual col rozzo stil tento ritrarla,
ma, qual mai non la vidi, a me pietosa.
— Pon’ freno al pianto e pace spera e posa,
o mio fedel, ché tempo è da sperarla. —
sorridendo mi dice: e, mentre parla,
m’offre del labro l’animata rosa.
Allor la bacio, ella ribacia e sugge;
lasso! ma ’l bacio in nulla ecco si scioglie,
e con la gioia insieme il sonno fugge.
Or qual, perfido amor, fra tante doglie
deggio attender mercé da chi mi strugge,
se i mentiti diletti anco mi toglie?