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98 | parte seconda |
xlvi
invito all’ombra
Or che l’aria e la terra arde e fiammeggia,
né s’ode euro che soffi, aura che spiri,
ed emulo del ciel, dovunque io miri,
saettato dal sole, il mar lampeggia;
qui dove alta in sul lido elce verdeggia,
le braccia aprendo in spaziosi giri,
e del suo crin ne’ liquidi zaffiri
gli smeraldi vaghissimi vagheggia;
qui, qui, Lilla, ricovra, ove l’arena
fresca in ogni stagion copre e circonda
folta di verdi rami ombrosa scena.
Godrai qui meco in un l’acque e la sponda;
vedrai scherzar su per la riva amena
il pesce con l’augel, l’ombra con l’onda.
xlvii
fantasia gelosa
Lilla, qualor vegg’io che ’l ciel s’avolga
di spessa nebbia o fremer vento ascolto,
temo non Borea, per quest’aria sciolto,
novella Orizia, li rapisca e tolga.
E s’egli avien che ’l nero vel si sciolga
de l’atre nubi in molle nembo e folto,
temo allor Giove, in pioggia d’oro involto,
del tuo bel, del mio bene il fior non colga.
Se miro il carro d’òr lo dio di Delo
chinar ver’ l’onde, a te lá dove sei
temo non scenda, e non ti porti in cielo.
Temo ancor Teti stessa, o chiuso in lei
celeste amante; e, tutto foco e gelo,
temo gli scogli e ’l mar, nonché gli dèi.