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88 parte seconda

xxvi

giocando ai dadi

     Stiamo a veder di quante palme adorna
sen vada, Amor, la man leggiadra e bianca,
mentre del mobil dado, ardita e franca,
travolge i punti e fa guizzar le corna.
     L’aggira, il mesce, il tragge, indi il distorna,
né d’agitarlo e scoterlo si stanca;
e da la destra intanto e da la manca
stuolo aversario e spettator soggiorna.
     Posto è in disparte, al vincitor mercede,
cumulo d’oro; e variar piú volte
sorte il minuto avorio ognor si vede.
     Felici in sí bell’urna ossa raccolte,
perché pur a le mie non si concede
in sí terso alabastro esser sepolte?


xxvii

alla luna

che col suo chiarore gl’impediva una gita d’amore.

     Né tu pietosa dea, né tu lucente,
né pura, né gentil, né bella sei,
Luna perversa, a’ caldi preghi miei
rigida e sorda e, qual mai sempre, algente.
     Ti diêr le selve aspro costume e mente,
ond’anco in ciel le corna hai per trofei,
del ciel non giá, ma sol tra’ neri dèi,
degna di star con la perduta gente.
     Lá giú nel cupo e tenebroso fondo
china il lubrico carro; ivi abbia il vanto
lo tuo pallor di nere macchie immondo.
     O pur d’Arcadia al torto dio, cui tanto
ami, in braccio ritorna, e, s’esci al mondo
turbi il tuo lume ognor tessalo incanto.