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benigna volontá e disposizione, io paleserò a quello tutto il fatto, col mostrargli la prefata lettera di V. E. e col domandargli di tal mutazione il suo grazioso consenso. Il quale io non credo mi sia per esser da lui negato, anzi so di sicuro che mel concederá e volentieri; perché conosco a lungo ch’egli è tanto divoto di cotesta serenissima casa, che picciol opera gli parrá il cedere a Sua Eminenza un proprio famigliare, benché a lui non poco accetto; massimamente non gli essendo incognito che questo mio nuovo servire non sarebbe servitú nuova ma rinovamento di servitú, avendo io si lungamente, come ho detto, servito il padre avanti che ’l figlio nascesse e che nascesse anco il detto signor principe.

Frattanto mi favorisca V. E. di ringraziare supremamente in mio nome esso signor cardinale; si come io per fine di questa ringrazio lei dell’ incommodo che s’ha preso e le fo cordial riverenza.

Di Roma, 4 febraro 1646.

XCVII

Al signor Giulio Cesare Benedetti, all’Aquila


Sull’arte medica.

Molto varia da quello ch’invero è ha il Piccinelli rappresentata a V. S. la mia generale opinione sopra l’arte medicinale. Né giá io mi maraviglio del suo torto interpretare, mentre egli è da Tortona; nascita ch’a lui forse è toccata piú tosto in fatto ch’a caso, se riguardiamo ch’egli mai non parla ch’ad alcuno non faccia torto, né mai opera che vada diritto. Io non aborrisco altrimenti questa degna professione, né l’ho in concetto di falsa, come esso tortonese crede e vuol far credere; ma l’onoro e la venero e con Salomone la stimo cosa data agli uomini da Dio.

Primamente la parte cerusica è da me tenuta tutta vera e reale, siccome quella che, versandosi per lo piú sopra infermitá soggette al senso, non ha bisogno di conghiettura, ma procede