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i primi, che sono i versificatori, hanno potuto per ora appresso al vulgo scavalcare il Petrarca e ’l Casa e ’l Bembo e gli altri somiglianti; ed i secondi, che sono i romanzieri, hanno potuto far dismettere la lettura de’ migliori libri vecchi di cavalleria, valendo, verbigrazia, piú una meza carta d ’ Amadis di Gaula che non vagliono tutti insieme quei loro sciagurati scartabelloni. Chi crederebbe mai un si strano portento? E pure il veggiamo vivamente esser vero e realmente essere avvenuto. La qual doppia corrottela di gusto, quantunque sia non poco mostruosa, è nata però nel secolo non senza la sua naturai cagione. Perciocché, si come la grande inappetenza delle donne gravide suole alle volte degenerare in falsa volontá di mangiar carboni o calcina o creta o simili altre porcherie (e questa è l’infermitá chiamata da’ medici «cissa»), cosi la strema sazietá de’ nostri lettori, per vaghezza di variar pastura, s’è convertita in un matto appetito di leggere spropositi.

Nondimeno io non credo che ciò sia per durar molto. I mali di questo mondo son della natura de’ beni. Nessuno è perpetuo, ma tutti son caduchi e di corta durata, ma tanto piú quando essi sieno violenti. Succederanno i nostri posteri e, ridendosi di noi e de’ nostri abusi, riconosceranno finalmente i carboni per carboni ed il pan per pane. Ma che dico io? Troppo termine ho assegnato a quest’emenda del secolo. Essa sará pur fatta piú tosto da chi ha commesso il peccato che da chi non v’ha colpa e non è nato ancora. La vertigine degli occhi corporali (la quale è infermitá che fa travedere) non costuma d’andar molto in lungo. Tale sará, spero, la vertigine delle menti moderne, le quali non sempre lasceranno abbagliarsi ed ingannare dal concorso ed esempio de’ vani pedanti e de’ giovanetti e de’ poetastri ; ché da queste tre fogge di lettori s’origina veramente tutto l’odierno spaccio de’ pre fati ghiribizi. Cosi noi, piacendo a Dio, non saremo scherniti dalla etá futura, e le gaglioffe operacce prenominate non sopraviveranno agli autori loro.

Ora dunque, per venir dalle digressioni allo ultimato concludere, sia il non istampare il nostr’ unico rimedio, coni’ io