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al canto della cicala. Perché, se all’ Ariosto parve noioso il metro di quell’animaluccio canoro; ad Eunomio però dolcissimo riuscí quando gli saltò su la cetra, come Fozio racconta. E ’1 Nazianzeno afferma che la cicala porta nel petto la lira; né fuor di proposito finse Platone nel Fedro che alcuni uomini, parzialissimi del mestier delle muse e in paragon della musica noncuranti della vita medesima, fossero cangiati in cicale, con privilegio di prender l’alimento dal cielo e d’esser ambasciatori de’ mortali alle muse. In ogni caso vi rimetto ad Anacreonte, ed appresso di me sarete almeno una delle cicale d’oro che portavano in capo gli atteniesi, come animai consegrato ad Apolline, dio degl’ingegnosi e de’ saggi. E chi sa poi che, udendosi da cotesta torre uno de’ vostri accenti, non risuonino da questi sette colli altretante voci che l’accompagnino? Cosi le sette torri di Costantinopoli, ricordate da Dione, con armoniosa corrispondenza incontravano la voce della prima che risonava. Io non vi prometto gran cose; ma voi, come consapevole del vostro merito, farete fede a voi stesso dell’applauso con che saranno ricevuti i vostri componimenti.

Ma ditemi di grazia, signor Claudio, prima ch’io finisca di scrivervi: che credete delle cose di Milano? Non parlo degli accidenti di guerra e della peste che per via d’ordinario contagio si propaga, ma di quell’altra che si dice esser seminata dagli uomini con mistura d’incanti. Io per me, come non sono de’ piú arrendevoli a creder tutto quello che s’attribuisce al diavolo, cosi non lodo l’ostinata incredulitá di certi filosofastri, che per far troppo del saccente danno nell’infedele. Che in altri tempi si sia trovata cotal sorte di peste dalla malvagitá degli uomini appiccata con diverse misture, è notissimo, e per istoria e per isperienza de’ tempi non molto antichi, in provincie non gran fatto remote; e questa Seneca nel secondo Dell’ira appella «pestilentiam manufactam», e la conta fra gli atroci ma conosciuti misfatti de’ suoi tempi. Che la malignitá di quel male, per se stessa possente, sia talvolta resa piú orribile con le fatucchierie, n’abbiamo in Tito Livio un memorabile essempio nel fatto di quelle streghe romane. Che il diavolo in questi