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CXXII

Al signor Antonio Lamberti


L oda il libro del Malvezzi.

Io vi scrivo in confidenza, perché non vorrei che un nostro amico mi lapidasse. Ho letto il libro del marchese Virgilio, e vi giuro per quel Giesu Cristo, che è nostro salvatore, che io non credo che in alcuna lingua si trovi scrittore che con succhi piú sostanziosi, piú eruditi, piú profondi e piú frequenti abbia mai scritto. Seneca seguitò questa traccia, ma, giuro a Dio, sa piú una scarpa del marchese che non sapea l’ingegno di Seneca, quando stava sul fervore anzi su l’apogeo della propria eccellenza. Io, che alla sua eloquenza aveva ubligate, per cosi dire, in forma di camera le mie maraviglie, questa volta posso dire che per pagarne il debito le ho spolpate, snervate e ridotte in un’estasi insensata che non trova piú il capo di maravigliarsi. Io ne avrei scritto a lui ; ma la sua modestia, parricida delle sue glorie, abomina le sue lodi. Ma credo piú tosto che egli per questa via divenga tiranno della gloria, perché diviene piú che gloriosissimo per modestia quanto è gloriosissimo per l’eloquenza e per l’erudizione. Ho veduto e osservato puntualmente quanto egli scrive dalle carte 77 fino alle 85, ed ho inteso i misteri di quel sagace, e sto per dire ch’egli scrive l’ Evangelo. Io vorrei esser buono a servirlo in qualche cosa, ché mi essanimarei per un tanto valore, il quale ha posto in tanta sublimitá la nostra patria, quanta bisognarebbe che ci fossero al mondo ingegni come il mio per esser conosciuta.

E ve la bacio, con un’estrema ansietá che una volta si finisca questa forfanteria diabolica del Casale, la quale però durerá puoco. Intanto compatisco a quelli che contra noi fanno libelli, perché in questo mondo sostengono la pena dell’infamia e sono cruciati dai pericoli delle forche, e nell’altro staranno assai peggio.

[1629].