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CXVI

A...


Narra i guai avvenutigli a causa del sonetto «Sudate, o fochi, a preparar metalli».

La fortuna, che m’ha giurate persecuzioni sino alla morte e che col titolo de’ suoi travagli m’ha fatto famoso in Italia, si è servito ultimamente della lettera che ho scritta al re per inquietarmi e mortificarmi non poco. Io sono in Bologna, mia patria, per le vacanze dello Studio di Parma. Qui ho trovata ristampata la lettera, ma nello stesso tempo suscitato un tumulto fra certi spagnuoli del Colleggio grande, che hanno qui in Bologna. Questi, doppo molte querele, si sono risoluti per mezzo del loro secretario d’andare al Santo offizio e, con carta sigillata col sigillo del Colleggio, protestare all’ inquisitore e al vicario eh ’essendo uscita alle stampe una lettera finta da un tal Achillino con molti encomi al re cristianissimo e che ha del libello famoso contro al re di Spagna, voglia supprimerla, proibirla e annichilarla, altrimenti suscitaranno rumori appresso la congregazione del Santo offizio in Roma e con Nostro Signore. Questi ministri, impauriti da questa protesta, avendo prima disegnato di lasciarla ristampare, hanno arrestato il corso di questa risoluzione; e perché questo accidente giá si è sparso, io ne resto innocentemente mortificato come libellatore contra la Maestá di un re che ho sempre riverito ed inchinato.

Ora qui veggo maltrattarsi la persona mia, il Santo offizio e la veritá.

Quanto alla persona mia, dico d’esser dottore colleggiato in questa patria, consigliere del duca di Parma, lettore sopraeminente in quello Studio con la maggior provigione che a memoria d’uomini sia mai stata data in Italia a publico professore di legge. Per mia natura io sono sempre stato inimicissimo delle maledicenze; e m’è fatto gran torto, mentre io sono trattato come auttore di libelli famosi. E tanto piú mi pesa questo