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Ite, e in quel sepolcro ove tramontò il Sole di giustizia trovarete novi natali e novi orienti alla vostra immortalitá. Ite, e non piú tolerate che dall’avaro e infido tiranno a prezzo indegno si venda l’adorazione di quella tomba che die’ ricetto a quel Dio, che sotto spoglie di carne con tanta liberalitá profuse il proprio sangue. Ite, né piú soffrite che quella pietra, che con tanta prontezza aperse la bocca ad autenticare il nostro riscatto, resti piú longamente sotto ’l giogo servile dei miscredenti. Ite, e non piú tolerate che sotto quel cielo dove s’ecclissò l’eterno Sole conservi la luna de’ traci piú longamente il suo splendore. Ite, e, disarmando l ’ottomane teste, lasciate ai loro turbanti questa sola gloria d’asciugarvi le stille dei vostri bellicosi sudori. Ite, ché l’angelo del Calvario v’aspetta a liberar quel colle sovra cui si vide pendente dalla sua pianta quel frutto di paradiso che, maturato dai chiodi, cascò nel grembo alla nostra salute. Ite, o gran Luigi, ché l’orto di Getsemani ambisce d’arricchirsi de’ vostri fiori. Il vostro nome vincitore dei secoli trionfará di lá dalla morte, e sul Campidoglio dell’eternitá condurrá cattivi e impalliditi i nomi di quanti famosi eroi occuparono giamai o le greche o le latine carte. Quei gran Carli, che vi precedettero nel regno, vivono, per azioni molto inferiori alle vostre presenti, consagrati all’ immortalitá. E che sarebbe quando voi, trionfata la Grecia, la Tracia, la Soria, l’Oriente, il maometismo, tornaste sotto i romani applausi a respirare in Francia?

Io, che da tant’anni in qua vivo stupido ammiratore delle vostre glorie, ho desiderato in queste congiunture di darvi un poetico saggio delle mie divotissime maraviglie; ma la mia penna, accesa nei vostri splendori, non dura e manca. LImilmente però vi supplico a non isdegnare il solo ardire del qui congiunto sonetto (0. Io l’invio sotto la Maestá degli occhi vostri, non come luce ambiziosa d’ illustrarvi, ma come raggio tolto in prestito dalla vostra luce per illuminarmi l’ingegno. Con che alla Maestá Vostra fo un’umilissima e profondissima riverenza.

Di Parma, li 2 maggio 1629.

(1) «Sudate, o fochi, a preparar metalli» [Ed.].