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piú disvelati concetti si ritrovano e s’ imprimono e si vendono e si leggono e si permettono? E perché mentre delle poesie vane e giovenili si fa menzione, non se ne pongono a conto tante morali, spirituali e divote che sono uscite della mia penna? Ben mi avveggo che la vespa non alla parte sana dell’animale ma alla putrida s’avventa, e che la serpe da quegli stessi fiori donde la pecchia suol trarre il miele tragge il veleno. Quando le mie rime non fussero state con molte edizioni ristampate, in vari linguaggi tradotte, per diversi paesi diffuse, da tante persone eziandio religiose ricevute, doverebbe bastare almeno l’essere state approvate dalle ecclesiastiche censure, rivedute da reverendi padri inquisitori, purgate, emendate e corrette da ministri di santa Chiesa, a’ cui piedi con ogni ubidienza ed umiltá voglio che sieno sempre sottomesse tutte le fatiche dell’ingegno mio. Ma di questo non piú, percioché in una lunga apologia, giá da me scritta in tal materia e da publicarsi quanto prima, spero di far rimanere la mia ragione meglio difesa e l’altrui malignitá piú confusa.

Resta ora ch’io sodisfaccia a quella parte che tocca alle cose scritte a penna. E qui dee sapere V. A. come da un tempo in qua sono stati suscitati alcuni sonetti dell’Aretino, del Franco e d’altri licenziosi auttori antichi, e questi divulgati. Io, avvisato e certificato di ciò, né senza rossore ho potuto leggere quella parte che me n’è capitata in mano, né senza indignazione scoprire la sagacitá dello stratagema, il quale porto fermissima opinione non potere altronde derivarsi che da costui e da altri emuli miei. Intendo ancora che costoro n’abbiano fatti altri di nuovo, dove non contenti delle disonestá hanno, quel che piú importa, in molti luoghi scherzato co’ santi e con poca riverenza mescolate le sacre con le profane cose. Questa è una congiura assai simile a quella che in Roma nel tempo di Clemente ottavo, pontefice di santissima memoria, mi fu tramata. Ma, mercé all’auttoritá di chi mi proteggeva, conosciuta per accusa di gente livida, non ebbe però vigore di stabilire le sue radici ; anzi un sonetto infamissimo, che mi era stato apposto, si vide chiaramente essere stato fatto molti anni prima ch’io nascessi.