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XVIII

All’illustrissimo e reverendissimo

MONSIGNORE MELCHIOR CRESCENZIO, OMERICO DI CAMERA


Dedica della prima parte delle Rime i Venezia, Giova» Battista Ciotti, 1602).

Suole anche talora un gran prencipe ricevere con lieto viso tra le ricche vivande della sua tavola un paniere di rose o una treccia di viole che da rozza mano di povero contadino recate gli sieno. Per la qual cosa io non dubito punto che non debba a V. S. illustrissima essere in grado questo umile e villareccio dono ch’io di presente vengo ad offerirle, il quale appunto altro non è che un mazzetto di fiori di poesia, giá da me questi anni addietro còlti negli orti delle muse ed ora con rustico ma nuovo ordine in questo volume raccolti e messi insieme. Prendali in segno del poco ch’io vaglio e gradiscali in testimonio ilei molto ch’io vorrei. Imperoché si come tali si dimostrano appunto quali natura gli produsse e privi in tutto di qualunque ricercato artificio, cosí vengono accompagnati dalle radici intiere d’una pura divozione e d’una divota osservanza verso lei.

Confesso ben io ch’escono fuori pur troppo intempestivi e non ben cresciuti a quel colmo di perfezione, che in qualche spazio di tempo potrebbono per aventura ricevere. Ma s’egli è il vero che l’offerte delle primizie, secondo che si legge, a Dio stesso care esser solevano, cari, se io non sono ingannato, esser dovranno questi a V. S. illustrissima, poiché sono senza alcun dubbio i primi che nel verde aprile della mia giovanezza germogliati sieno, anzi nello ’nverno torbido e tempestoso delle mie continove sciagure.

Oltre che, facendo, secondo natura, di mistieri che prima da’ rami caggiano i fiori perché poi spuntino le frutta, ho istimato io convenevole il carpire cotali fiori cosí acerbi ancora ed imperfetti come si veggono, per poter meglio per lo innanzi affaticarmi in cosa di rilevo maggiore. Onde, se bene ora io vani fiori e caduchi non arrossisco di presentarle, verrá forse stagione che