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V’è nondimen gettato su lo spazzo un certo pagliariccio over un sacco, ove la notte e ’1 di trionfo e sguazzo.

Ivi mi coleo quando ch’io son stracco, e prendo ogni piacer dal sonno in poi, ché per dormir bisogna aver il giacco.

I cimici, i pidocchi e gli altri eroi vi giuocano di stocco e di rotella, con morsi che n’ incacano i rasoi.

Ma quanto ho detto qui è una bagattella ché non v’ ho conto ancor tutte le botte e non v’ho piena ancora la scudella.

Tosto che tocche son le due di notte, ci convien contrastar co’ maledetti, che vengon fuor da le tartaree grotte.

Io non so se son spiriti o folletti, ombre, fantasme, streghe o satanassi, che non ci fanno farse ma dispetti.

Rompon pentole spesso, aventan sassi, picchian su per le porte e per le banche, spengono i lumi e fan mille fracassi.

Ti sgraffignan il viso con le zanche, credon con Draghinazzo far battaglia, a chi batton la guancia ed a chi Tanche.

S’io non avessi indosso una medaglia che ricevei da un certo amico in dono, ci darebbe da far questa canaglia.

’Fra gli altri, certi diavoli ci sono, che si piglian piacer tra cento forche per spiccar un mantel ch’abbia de buono.

Io vi tratto di topi e delle sorche, che vi menan la danza trivigiana, e si grosse vi son che paion porche.

Vi corrono il «facchino» e la «quintana», giuocano a capriole ed a «moresche» ed al pallon come si fa in Toscana.