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pari. Questa confidenza, aggiunta alla mia naturai pigrizia (oltre alla gentilezza e cortesia che ’n lei a mille prove ho conosciuta) e non giá, com’Ella dice, la poca amorevolezza, mi fa essere alquanto scarso e tardo a muover la penna. Né voglio che creda ch’io sia verso lei cosí nell’amore come nello scrivere tiepido: anzi sia certa che dove manco con la carta e con l’inchiostro, supplisco al doppio con la mente e col cuore. Ben egli è vero ch’io dovrei in questo dimostrarmi non pur sollecito ma importuno, considerando il mio continovo desiderio d’aver avviso di sua salute e ’l giovamento nel ricever le sue lettere. Ma se si vorrá dir il vero, tutto ’l danno che ne segue è mio e non d’altri, si perché vengo in cotal guisa a perdere il piacere ch’avrei di tante sue risposte le quali ho sommamente care, come anche perché lascio di rinovare in lei la ricordanza della mia servitú, tutto che io non dubiti della sua gentilissima natura. Mi scuso adunque e m’accuso insieme; e se non può Ella sodisfarsi ch’io spesso le scriva, dee contentarsi ch’io conosca di fallire e cercando perdono cerchi per lo innanzi d’ammendare il mio fallo.

Il dialogo del Tasso sarebbe giá, due mesi sono, uscito alle stampe, ma ’l signor Orazio d’ Afeltro mi disse che esso auttore aveva intenzione d’aggiugnervi dentro un non so che, e pregommi strettamente ch’io dovessi trattener l’impressione, tanto piú che a V. S. illustrissima non ne correva tanta fretta. Potrá Ella per farmi grazia scrivere a lui in particolare una lettera perché solleciti a spedir questo negozio, overo m’avvisi di quel ch’io ne debbo fare. Honne anche parlato con lo stesso signor Torquato, a cui dicendo io ch’era per mandar fuori questa sua opera per ordine di V. S. illustrissima, mostrò d’averne sommo piacere, promettendomi di risolversi quanto prima. E mi disse che desiderava la stampa del libro non in dodici, come noi avevamo disegnato, ma in quarto foglio, conforme ad alcune altre sue cose le quali in brieve compariranno alla luce. Onde molto mi maraviglio com’egli nella sua lettera non le abbia questo fatto accennato.

Il sonetto bernesco ch’Ella mi mandò non usci mai di mia mano. Solo il signor Vincenzo Filinghieri ne volse in ogni modo