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LXXXVI
Al signor Quid’ Ubaldo Benamati
Insiste per avere dipinti dello Schidoni e del Malosso.
L’ottave di V. S. sono belle, l’invenzione è poetica e lo stile
è pieno di facilitá e felicitá; e tanto mi basti aver detto semplicemente intorno ad esse del mio parere, quanto meno necessario
tanto piú libero e sincero, con quella schiettezza che m’insegna
l’integritá della mia natura e che mi concede la licenza ricevuta
da lei. Il signor Schidone ha bene il torto a trattarmi in questa
guisa, poiché se non vuol corrispondere all’ affezione ch’io gli
porto, per cortesia dovrebbe almeno rispondere alle lettere che
gli scrivo per civiltá. L’ho cento volte pregato e fatto pregare
d’un disegno di sua mano, per aver occasione d’onorare il suo
nome in un’opera ch’io vo compilando, intitolata La galeria ,
dove n’ho raccolta una gran quantitá de’ migliori e piú famosi
maestri di questa etá, i quali mercé della loro gentilezza hanno
non solo cortesemente compiaciuto alle mie prime richieste, ma
mostrata spontanea ambizione di esser fatti partecipi di quella
poca gloria che può dare altrui la mia penna. E pure, con tutta
l’efficacia de’ miei tanti scongiuri e nonostante la stima straordinaria e parziale ch’io fo del suo valore, non ho saputo mai
persuaderlo in guisa ch’io n’abbia non dico ottenuto il favore
ma meritata risposta. In questo (cosi Iddio mi guardi!) io non
ho altro fine che la stessa riputazione sua e l’ornamento del
libro mio, il quale nel concorso di tanti valentuomini vorrei che
non restasse privo d’una sua linea almeno. Il suggetto ha da
esser favoloso a suo capriccio, la misura del foglio gli ho giá
mandata, ed avrei caro che fusse fatto in carta pergamina con
qualche diligenza. Io costituisco costá V. S. mio procuratore
non solo presso lui ma anche presso l’illustrissimo signor conte
di San Secondo, che me n’ha promesso un altro del Malosso.
Se V. S. potrá pur cavar qualche cosa dal signor Schidone
per importunitá, la riponga in un cannoncino di latta accioché