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23.Per mia fatai (cred’io) morte e ruina
vidi tanta beltá non piú veduta.
Infin di quanto il Ciel quaggiú destina
difficilmente il gran tenor si muta.
Chi può per molte scosse in balza alpina
ben robusta piegar quercia barbuta?
quercia, ch’Austro prendendo e Borea a scherno,
tocca col capo il Ciel, col piè l’Inferno?

24.Amo statua di neve, anzi di pietra,
pertinace rigor, fermo desio.
Egli gela a le fiamme, ai pianti impètra:
né di voglia cangiar mi voglio anch’io.
Io non mi pento, ei non però si spetra,
guerreggia l’odio suo con l’amor mio.
L’uno in esser nemico, e l’altra amante,
non so chi di noi duo sia. piú costante.

25.Veggio moversi i monti anco a’ miei versi,
non ammollirsi un animato sasso.
Talor de’ fiumi indietro il piè conversi,
fermar non so d’un fuggitivo il passo.
I mostri umiliai fieri e perversi,
né d’un altier Garzon l’animo abbasso.
Da me l’Inferno istesso è vinto e dòmo,
né son possente a soggiogare un uomo!

26.Semino in onda e fabrico in arena,
persuado lo scoglio e prego il vento.
A l’Aspe Egizzio ed a la Tigre Armena
scopro la piaga mia, narro il tormento.
Idol crudel, di cui mi lice a pena
sol la vista goder, di placar tento.
Se far potesse a questa alcun riparo,
forse di questa ancor mi fora avaro!