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3.Somiglio peregrin, che ’nfermo e fioco
trascorsa giá quella contrada e questa,
del patrio tetto, e del paterno foco
scoprendo i fumi, i voti al tempio appresta.
Sembro nocchier, che fatto un tempo gioco
per l’immenso Ocean de la tempesta,
tosto che de la riva arriva al segno,
ripiglia il remo, e dá la spinta al legno.

4.Son Leandro novello, a cui tra Tonde
mostra lucida lampa eccelsa rocca.
Ma mentre da vicin mira le sponde,
mentre ch’ad or ad or la terra tocca,
in guisa il mar orribile il confonde.
che gli manca tremante il fiato in bocca,
e lasciar teme pria ch’attinga il Udo,
tra gli scogli sommerso, il debil grido.

5.Pur tale e sí benigna è la mia scorta,
sí chiara splende, e sí serena e bella,
che dal polo reai mi riconforta
in sí dubbiosa e torbida procella;
né tem’io giá che mi sia spenta o morta,
perché mai non tramonta Artica stella;
e può piú tosto il Sol perder la luce,
che quel raggio immortai che mi conduce.

6.Dunque che fai? rinfranca ed avalora,
ahi lento nuotator, le forze oppresse!
Ben ha tanto il tuo stil di lena ancora
che ti basta a compir l’alte promesse.
Ecco giá desta in Ciel sorge l’Aurora,
sorga la Musa al bel lavor che tesse.
Giá con l’ultimo fil Febo la chiama
de la gran tela a terminar la trama.