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315.Sásselo il mio Xettun, che balte mura
penò molto a guardar, ch’ei prima eresse.
Apollo nostro il sa, che con sciagura
di contagio mortai gli Argivi oppresse.
E ’l sai ben tu, che spesso di paura
tremasti giá, ch’Enea non uccidesse;
né quella guerra fu men de le stille
sparsa del sangue tuo, che del mio Achille.

316.L’ingiustissima offesa io non ridico,
né voglio altrui rimproverar quel torto,
con quanta fellonia dal fier nemico,
con qual perfido aiuto ei mi fu morto,
per non crescer nov’odio a l’odio antico,
dove il mio intento è di recar conforto.
Non so però da qual invidia mossa
l’ira in petto divin cotanto possa.

317.De’ corsieri immortali altero tanto
nulla gli valse il governar le briglie.
Non gli giovò d’aver tra gli altri vanto
d’unico operator di meraviglie,
né che l’onde per lui Scamandro e Xanto
portasser del Troian sangue vermiglie,
impediti a passar ne l’Oceano
da’ corpi uccisi sol per la sua mano.

318.Dopo l’aver lasciata al campo Acheo
de l’amato Patroclo alta vendetta,
quando a Briseida sua, dolce trofeo
di sudor tanti, esser congiunto aspetta
ecco uscir d’arco dispietato e reo
avelenata e barbara saetta,
che mentr’ei stassi inginocchion nel tempio,
colpo in lui scocca insidioso ed empio.