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291.Or chi può d’Hero sua narrar la doglia?
Come strecciossi il crin, stracciossi il volto
quando da la finestra invèr la soglia
lo sguardo al novo giorno ebbe rivolto?
e vide ai rai del Sol la fredda spoglia
del suo bel Sole estinto, ed insepolto?
Gittossi in mar la misera fanciulla,
e sepoltura sua fu la tua culla.

292 D’amorosa pietá colmi i Delfini

lo sventurato accompagnar fur visti.

I mergi degli scogli cittadini

con gridi il circondar flebili e tristi.

Gli fér l’essequie i popoli marini
di Nereidi e Tritoni uniti e misti.

Ed io lo trasformai nel fior d’un’erba,
che di Leandro ancora il nome serba.

293.Ahi ma perché non narro, e dove lasso
d’Achille mio lo sfortunato fine?
L’istorie altrui racconto, e taccio e passo
le mie proprie sventure, e le ruine!
Scoglio sí duro, e di sí rozo sasso
non ricettano in sen Tonde marine
che quando ebb’io quel mesto annunzio udito,
non si fusse a’ miei pianti intenerito.

294.Tutti voi vi lagnate afflitti Dei,
tanto d’un van piacer può la membranza.
Se pianger voless’io quanto dovrei,
com’avrian mai quest’occhi acque a bastanza?
Tanto han vantaggio ai vostri i dolor miei
quanto Natura ha piú ch’Amor possanza,
perch’a l’amor, con cui s’amano i figli,
amor altro non è, che s’assomigli.