Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/588


279.Da tai nemici combattuto il mare
con tumido bollor rauco stridendo
mar piú non giá, ma diventato pare
di caligini e d’urli Inferno orrendo.
È nero il ciel, ma fiammeggianti e chiare
le saette ch’ognor scendon cadendo
fanno per l’aria piú che pece bruna
de le stelle l’ufficio, e de la Luna.

280.Nubi di foco gravide e di gelo
portate a forza da feroci venti
scoppiando partoriscono dal cielo
lampi sanguigni, e fulmini serpenti,
e mandan giú dal tenebroso velo
un diluvio di laghi e di torrenti.
Aver sembra ogni nube ed ogni nembo
i fiumi no, ma tutti i mari in grembo.

281.Per lo stretto canal, che ’n sí gran zuffa,
incapace di sé, si frange e freme,
va brancolando, e si contorce e sbuffa
il nuotator, ch’ai cominciar non teme.
In se stesso si libra, indi s’attuffa,
e le braccia e le gambe agita insieme.
L’acque batte e ribatte, e da la faccia
col soffio e con la man lunge le scaccia.

282.Serpe a lo striscio, al volo augel somiglia,
battello ai remi e corridore al morso.
Or l’ascelle agilmente a meraviglia
dilata e stende, or le ripiega al corso.
Or, sospeso l’andar, riposo piglia
e volge verso il mar supino il dorso.
Or sorge, e zappa il flutto, ed anelante
rompe la via co’ calci e con le piante.